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L'uomo delle farine
All’ alba Il vecchio portone dava luce al mulino e l’uomo delle farine come ogni giorno rinnovava il miracolo del grano. La macina ruotava rumorosa sprigionando un canto libero come inno al simbolo della vita. E l’uomo delle farine era lì come ogni mattino ad accarezzare con la mano esperta la cascata di quel bianco fiore. Ne sapeva dosare la finezza ne miscelava le specie, ne comprendeva il valore e in quel sacro gesto ne racchiudeva il mistero del dono di Dio Un giorno il portone del mulino non si aprì, la macina era ferma, la cascata di bianco fiore era muta L’uomo delle farine non si era visto quella mattina forse era ritornato in cielo. Il mattino all’alba una mano giovane fece un giro di chiave al vecchio portone lo aprì riportando la luce in quel sacro luogo. Come per incanto la macina ritornò a cantare, la bianca fonte continuò a sorridere. L’uomo delle farine non c’è più ma in ogni sacco se ne sente il profumo.
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...per incontrarvi ancora per incontrarvi ancora
All'improvviso arrivò un sorriso
All ’ improvviso arrivò un sorriso ambasciatore di terre lontane. Portava con sé emozioni, voglia di abbracci, desideri, sapori e speranze per anni negati. Dentro quel sorriso vi erano custodite le stesse radici, lo stesso sangue, lo stesso sguardo di fratelli costretti all’umiliazione della miseria. Oggi quel sorriso risplende di luce come un cofanetto di perle e dentro quel sorriso non c’è più l’amaro della fame, non ci sono più le lacrime dei bastimenti, le valigie di cartone piene di speranze. Non c’è più la sirena che copriva il pianto delle madri costrette a lasciare i propri figli nella disperata lotta dell’esistenza. Ora quel sorriso è figlio di chi ha saputo riscattare e vinto la sofferenza di una madrepatria lontana. Quel sorriso oggi è qui, ambasciatore di felicità, desideroso di ricostruire le radici dello stesso albero. Accoglierò quel sorriso con calore, senza parlare, estasiato da quella luce di perle che ha ritrovato la sorgente del proprio sangue. |
Viaggerò da sola
Questa volta non guarderò indietro, attraverserò l’ultima porta a testa alta come a testa alta ho vissuto. Passo dopo passo mi allontanerò, sempre più piccola fino a quando sarò un puntino verso il buio. No, non guarderò indietro perché ciò che desideravo l’ho lasciato in buone mani, le stesse con le quali ho condiviso carezze. Le stesse che mi hanno protetta, che hanno raccolto e amato il seme dell’amore. Porterò con me i sogni non realizzati da un beffardo destino, porterò con me la sofferenza e la dignità di come l’ho affrontata. No, non mi volterò indietro, questa volta viaggerò da sola. Giovanni e la sua vigna
La guerra era finita e la gente ricominciava a vivere. Ogni uomo desiderava riconquistare la serenità tra i colori della Natura. Anche i vecchi tralci dimenticati avevano ritrovato un amico. Erano ritornate le carezze di Giovanni l’emozioni dei germogli, l’essenze dello zolfo e verderame , i primi chicchi e poi il profumo del mosto incantatore. La guerra era finita lasciando a Giovanni le ferite della stupidità umana. Un sorso di vino per dimenticare, per sognare, per amare. Dentro questa bottiglia vi è racchiuso il testamento morale di due amici veri. Un uomo onesto e la sua vigna forse due sognatori, ma di sicuro due testimone di pace. Ai posteri l’onore di custodirne l’esempio
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